Azienda controllata Amadori, patteggiato reato di uccisione di animali, maltrattamento e abbandono

Si è concluso con due condanne patteggiate l’esposto-denuncia presentato da ENPA con la collaborazione di Animal Equality nei confronti dell’azienda Amadori nell’agosto 2016: il rappresentante legale di una società controllata al 100% da Amadori è stato condannato per il reato di uccisione e maltrattamento di animali (articolo 544 bis e ter del codice penale), mentre il custode e responsabile dell’allevamento intensivo in questione è stato condannato per il reato di abbandono di animali (articolo 727). Nel primo caso è stata comminata una pena di 3 mesi di reclusione e un’ammenda di 22.500 euro mentre il custode dovrà pagare un’ammenda di 1.600 euro. I due hanno patteggiato.

Una realtà allucinante

Nella sentenza emessa dall’ufficio GIP del Tribunale di Forlì viene evidenziato come il rappresentante legale della società controllata al 100% da Amadori perseverasse “nel mantenere condizioni di allevamento tali da ingenerare negli animali inutili sofferenze”. In particolare, infatti, le scrofe in fecondazione e gestazione erano tenute in gabbie troppo piccole “non adeguate alla stazza degli animali” che non consentivano di poter girare su se stesse, coricarsi completamente, difendersi da mosche o topi e che cagionavano inutili sofferenze e lesioni.

Inoltre, è stata riscontrata una totale “assenza di adeguati spazi asciutti e puliti per il riposo degli animali” e “assenza o inadeguatezza di arricchimenti ambientali (paglia, fieno, ecc)”. Di conseguenza, gli animali “venivano sottoposti a condizioni insopportabili per le loro caratteristiche etologiche cagionandogli sofferenze non necessarie e in alcuni casi anche la morte”. Infine, Il custode e responsabile dell’allevamento della controllata di Amadori è stato condannato per il reato di abbandono di animali (articolo 727 del codice penale) perché l’uomo “faceva sì che gli animali fossero detenuti in condizioni incompatibili con la loro natura”, causandogli “gravi sofferenze”.

Un’attesa lunga quattro anni

L’esposto-denuncia da parte di Enpa nei confronti dell’azienda Amadori era nato a seguito delle immagini della trasmissione televisiva di Rai Tre “Report”, andate in onda il 29 maggio 2016, relative ad uno degli allevamenti principali di animali destinati al consumo umano di proprietà dell’azienda Amadori, sito in Emilia Romagna. Nel corso della trasmissione, la conduttrice Milena Gabanelli aveva mostrato un servizio nel quale si vedeva la giornalista Sabrina Giannini entrare in tale allevamento dove apparivano evidenti le terribili condizioni di detenzione degli animali.

A seguito del servizio, la denuncia è stata poi integrata con le immagini raccolte da Animal Equality in alcuni allevamenti circostanti legati ad Amadori, un’integrazione che ha permesso di continuare con il procedimento e che, nel 2019, ha portato su specifico ricorso presentato dall’ENPA anche l’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato (AGCM) a chiedere ad Amadori di modificare la propria comunicazione circa i polli allevati a scopo alimentare, perché considerata infatti potenzialmente ingannevole.

«Siamo molto soddisfatti per il risultato ottenuto grazie alla denuncia che abbiamo presentato per conto di ENPA e grazie all’eccellente lavoro svolto dalla Procura di Forlì – dichiara Manuela Giacomini, Avvocato di ENPA – In particolare, ritengo di fondamentale importanza il fatto che siano stati contestati determinati reati anche in relazione a condotte criminose poste in essere nei confronti di animali da allevamento quali scrofe e suinetti, i quali devono ritenersi a tutti gli effetti esseri senzienti e, pertanto, capaci di provare dolore sia fisico che psicologico. »

Una sentenza storica

Per Carla Rocchi, presidente Nazionale ENPA, «si tratta di una sentenza importantissima che mette finalmente sotto i riflettori della giustizia i reati che ogni giorno si compiono nei confronti degli animali negli allevamenti intensivi».

Le fa eco Alice Trombetta, General Manager di Animal Equality Italia, che spera che la sentenza «funga da campanello d’allarme per tutti quegli allevatori che si ostinano a trasgredire le pur scarse leggi vigenti in materia di benessere animale, infliggendo agli animali ulteriori e inutili sofferenze, come il taglio preventivo della coda oltre a quelle già derivanti dalla detenzione in strutture intensive.»

 

Pubblicato il 5 marzo 2020