Abolizione della caccia: perché ENPA non aderisce al referendum, in 10 punti.

In molti ci stanno chiedendo delucidazioni in merito alla contrarietà della Protezione Animali – così come di tutte le maggiori associazioni ambientaliste ed animaliste italiane – all’indire in tempi odierni i referendum contro la caccia, pratica a cui siamo assolutamente contrari e che per questo ci vede impegnati nel suo contrasto, con razionalità, con interventi legali, istituzionali e con capacità di analisi, e con tanta passione.

Nel messaggio che segue, necessariamente lungo, la Presidente nazionale Carla Rocchi spiega in sintesi tutte le ragioni della posizione della Protezione Animali.

  • Modalità.

L’ENPA, al pari delle maggiori associazioni nazionali con cui quotidianamente lavora proprio sul contrasto all’attività venatoria, NON è stata contattata se non a giochi fatti, ovvero a seguito del deposito dei quesiti. Nessuna discussione preventiva, nessuna valutazione dei rischi, nessun confronto e quindi nessuna strategia condivisa, nessuna analisi sociopolitica né relativa alla sostenibilità, in tempi odierni, per un referendum così importante.

Solo dopo molto tempo e a giochi già fatti e decisi, i promotori hanno preteso che ci accodassimo, visto l’enorme impegno che tale iniziativa richiede, sotto ogni punto di vista, e che evidentemente piccole associazioni non riescono a sostenere.

  • Un referendum non si improvvisa.

Questa vicenda danneggia lo strumento  prezioso di democrazia diretta, che è difficile e complesso: richiede un grande schieramento di forze, organizzazione centrale e periferica, molto denaro, competenze sicure. Un referendum va ben valutato, soprattutto sulle conseguenze che può avere il suo fallimento o anche la sua vittoria.

  • Sostenibilità dell’iniziativa referendaria.

I capitali umani ed economici per finanziare questa avventura sono veramente ingenti. Nel referendum del 1990 i Verdi investirono più di un miliardo di lire, gran parte del finanziamento pubblico dei partiti. Dove sono oggi i soldi per stampare i moduli, pagare i  cancellieri, pagare spazi pubblicitari; dove sono le migliaia di volontari necessari  per raccogliere le firme – almeno settecentomila per averne sicure cinquecentomila?

Tutto questo in Agosto, in tempi di pandemia? E le altre fasi, come l’acquisizione dei certificati elettorali? Il referendum non è un gioco.

  • L’iniziativa rinvigorisce il comparto venatorio

Questa iniziativa referendaria ridà fiato e forza alla caccia, che oggi è in netto declino: i cacciatori, sempre più anziani sono meno di quattrocentomila, i giovani assai pochi, le armerie chiudono, le associazioni venatorie in crisi si rubano gli iscritti a colpi di saldi, cioè tessere a basso prezzo.

Da quando i referendum sono stati depositati, i cacciatori, assai divisi, si stanno ricompattando, assieme agli agricoltori, agli armieri, a certi ristoratori, ai macellatori, ai politici.

  • Il declino costante della caccia.

Il declino della caccia è merito nostro, del lavoro forte e tenace delle Associazioni e di tanti che hanno fatto cultura, manifestazioni, ricorsi legali, attività istituzionale in Italia e in Europa. La legge 157 del 1992 rimane una buona legge, che ogni anno toglie qualcosa al mondo venatoria (tortora, moriglione, pavoncella…) e che fa desistere i cacciatori dal rinnovare le tessere. Un quadro che pone tanti paletti alle Regioni, sempre di più.

  • Valutazione degli avversari.

Abbiamo ben capito chi sono i nostri avversari? C’è una enorme lobby legata al mondo venatorio. Anzitutto quella politica (lo dimostrano gli ormai innumerevoli ricorsi ai TAR delle associazioni), ma poi anche quella economica, delle associazioni venatorie (che hanno finanziamenti statali), del mercato delle armi e oggettistica e abbigliamento, delle associazioni Agricole (coldiretti, confagricolura eccetera), dei ristoratori, del mercato nero della carne, dei bracconieri.

È già noto alle cronache come in passate manifestazioni filo venatorie, i partecipanti fossero rimborsati e pagati per scendere in piazza, figuriamoci per un referendum!

Noi abbiamo difficoltà anche a raccogliere firme online sulle nostre petizioni, seduti da casa, o quando c’è un invito alla protesta sui social, a aderire. Non avete idea di quanti cacciatori invece intervengono nei nostri post, o di quanti allevatori, armieri, agricoltori commentano negativamente e protestano sui nostri social. Figuriamoci le manifestazioni di piazza.

  • Modifiche legislative già in discussione o presentate

Su alcuni punti della legge quadro 157 del 1992, e sulla loro modifica, si stava già abbondantemente lavorando. Ovviamente il mondo politico, per la maggior parte, sarebbe favorevole a peggiorare la situazione, ed ogni volta che si apre una possibilità di modifica, è come se si aprisse una crepa in cui entrano tanti attori diversi, compresa ovviamente la controparte.

Occorre una estrema cautela. Si stava lavorando, ad esempio, proprio sull’abolizione dell’art. 842 del Codice Civile, che consente alle persone il libero accesso ai fondi privati.

Tuttavia, occorre realizzare una serie di considerazioni: in alcuni paesi, gli agricoltori si fanno pagare per un “sì, puoi accedere” e si crea poi un meccanismo ancora peggiore. Bisogna continuare a lavorare? Certo, ma con cautela, attenzione e ponendo paletti, e non cancellando tutto e lasciando un pericolosissimo vuoto.

  • Il vuoto legislativo

Inutile dire come il mondo venatorio uscirebbe rafforzato se i promotori non riuscissero nella raccolta delle firme, nel superare il vaglio della Corte Costituzionale, nell’andare al voto e nel riportare la vittoria dalle urne (nel 1990, nonostante uno schieramento ampissimo riportammo diciotto milioni di SÌ, ma non furono sufficienti a raggiungere il quorum).

Ma tuttavia lo scenario potrebbe essere paradossalmente peggiore con la vittoria: chi gestirebbe il vuoto legislativo in Parlamento? Pensate che il mondo politico-venatorio-agricolo-delle armerie-dei ristoratori-del commercio starebbe a guardare i vuoti delle abrogazioni? Chi farebbe una nuova legge?

Nelle prossime elezioni i favoriti sono di gran lunga proprio i partiti di caccia selvaggia, quelli che inneggiano ad uccidere orsi e lupi, che emanano norme (ormai illegittime grazie al lavoro delle Associazioni) per catturare e imprigionare richiami vivi, sostenitori degli spiedi dei piccoli uccelli protetti, della caccia no limits, dell’ampliamento dei carnieri…

Ricordiamo anche che l’Unione Europea non vieta la caccia, quindi di fatto possono farlo, magari cambiando semplicemente nome e termini, e facendo leva sull’emergenza fauna (storni, corvidi, cinghiali e altri ungulati, cormorani, volpi, piccioni, ecc.).

Pensate alle Regioni, il peggio del peggio, coloro che violano già la 157, che calpestano sentenze di TAR, Corte Costituzionale e perfino della Cassazione pur di far imbracciare i fucili garantendosi i voti delle categorie sopra menzionate.

  • Al posto della caccia…

Nel clima odierno, dove Coldiretti manifesta contro la fauna selvatica e lo fa portando in piazza tantissime persone; dove ogni giorno ci sono articoli allarmistici su cinghiali, cormorani, storni; dove le persone si sentono “in pericolo” a causa della disinformazione; è irrealistico pensare che gli abbattimenti scompaiano.

Oggi però ci sono – almeno – dei vincoli. Togliendo questi, i Comuni e gli enti locali possono autorizzare abbattimenti liberi – non chiamandoli più caccia o controllo faunistico e facendo leva sull’urgenza di tutelare le persone e le colture –, senza nessun paletto, oggi esistente (obbligo metodi ecologici, coinvolgimento dell’ISPRA con pareri obbligatori e a volte vincolanti, eccetera).

  •  Dove sono state queste associazioni promotrici? Cosa hanno da perdere?

Nulla. Con tutta evidenza, alle piccole associazioni o sigle promotrici tutto questo non interessa: sappiamo bene che il fallimento sarà attribuito alle grandi Associazioni perché “non ci sono state”.

Questa vicenda è un errore improponibile, un azzardo pericoloso che gli animali non meritano.

Non lo merita neppure il mondo animalista, quello serio e non improvvisato, che verrebbe screditato dal suo fallimento e dal messaggio che i cacciatori festanti manderebbero agli italiani, in ogni caso: che la caccia è viva e amata da questo Paese.

Il referendum non è un gioco, è uno strumento di democrazia importantissimo, che va usato con grande consapevolezza, con una visione strategica, con una approfondita analisi politica e sociale, e non con una pericolosissima leggerezza.

Pubblicato il 26 luglio 2021