Intervista a Giorgio Riva

Tratta da: “Monzesi, 50 personaggi della città” – Carlo Vittone Editore, 2003

Da quasi trent’anni la sua vita si identifica in ambito locale con quella della più nota organizzazione animalista nazionale. Ma questo suo impegno è stato sempre condotto con equilibrio e sano pragmatismo, rifuggendo da ideologismi e velleitarismo. Così oggi l’ENPA di Monza conta diverse decine di volontari, gestisce con grande passione e competenza il canile intercomunale di Monza e contribuisce con numerose iniziative alla crescita di una coscienza animalista nella nostra città. Cinquantaquattro anni ben portati, non nasconde un legittimo orgoglio per i risultati raggiunti.

Ma come è cominciata la Sua passione animalista?
Venivo da una famiglia amante degli animali, ma, direi, in forme normali,come mediamente capita in molte famiglie. Ma a 26 anni sentivo il desiderio di “fare qualcosa” in ambito sociale. Per caso trovai due cani randagi in pochi giorni: fu così che venni a contatto con il mondo per me sconosciuto del protezionismo monzese, un mondo pieno di buone intenzioni e di generosità, ma incredibilmente anarchico. Venne fuori allora il mio istinto di “organizzatore”, quella che senza falsa modestia ritengo ancora oggi la mia più importante qualità.

In che senso, scusi?
Nel 1974 la sede a Monza dell’ENPA era praticamente inoperante da due anni. Una dozzina di cani trovatelli venivano tenuti in una pensione per animali di Lissone dalla generosità di due zoofile monzesi, la signora Vincenzina Novi e la signora Franca Bolis. Non esisteva un servizio di pronto soccorso né di informazione, non c’erano mezzi, strutture, volontari, men che meno quattrini. C’erano solo un grande amore per gli animali in difficoltà e la voglia di aiutarli. Incanalare questa passione fornendo un sistema di regole condivise fu uno dei miei primi obiettivi. Non sarei però riuscito a fare molto se non avessi potuto contare sull’aiuto di altre giovani volontarie che avevano la mia stessa visione dei problemi e del modo di affrontarli.

E’ vero che Monza contava su una solida tradizione animalista?
L’ENPA di Monza era stata fondata nel lontano 1940 da Monsignor Baraggia, canonico del Duomo, maestro organista, cappellano degli alpini, figura fuori dagli schemi dell’epoca. Ma dopo di lui la sezione aveva conosciuto lunghi anni di crisi. Sopravviveva, lo ripeto, per la grande abnegazione di personaggi incredibili come la “Marisa dei gatti”, al secolo Marisa Redaelli, invalida civile, che tutti i giorni con qualunque tempo girava con una borsa piena di carne trita per alimentare i numerosissimi mici randagi della città.

Ma non c’erano strutture pubbliche a quel tempo?
Si, il canile di Via Buonarroti già esisteva, anche se era molto più piccolo di oggi.
Ma il suo compito era tenere i cani accalappiati per non più di tre giorni e poi sopprimerli o addirittura indirizzarli al mercato della vivisezione. Per noi quello era il nostro principale nemico, l’esatto contrario di un vero ricovero per animali. Così tentammo anche di creare un canile “alternativo” a Brugherio, ma l’impresa fallì per l’impossibilità di fare coesistere un canile “animalista” con il canile “commerciale” che ci ospitava. Poi ci fu una svolta decisiva.

Cioè?
Nel 1983 la competenza sui canili passò dai Comuni alle USSL, che operavano a livello sovracomunale: Così si aprivano nuovi spazi e decidemmo di “fare il salto”, di proporre noi stessi come gestori del canile. Oggi è questa una scelta molto diffusa e condivisa, ma all’epoca fummo i primi in Italia a fare questo passo. Anche se va detto che ereditammo il canile in condizioni davvero pietose, con strutture al limite della rovina e una mole di lavoro incredibile. Nei primi tempi incontrammo difficoltà gigantesche, sia per la gestione vera e propria che sotto l’aspetto finanziario. Per ingrandire il canile ci indebitammo per trenta milioni e in cassa avevamo cinquecentomila lire. Ma ci soccorse la grande generosità dei monzesi con le quote delle iscrizioni e con donazioni; nel giro di sei mesi riuscimmo a pagare tutti i debiti.

Nella gestione di un canile pubblico come affrontaste il problema delle soppressioni?
All’epoca il problema del randagismo veniva affrontato in due modi antitetici: da una parte i canili pubblici che, come già detto, sopprimevano gli animali dopo tre giorni spesso con metodi barbari; dall’altra i rifugi che, privi di mezzi, mantenevano in vita gli animali ad ogni costo anche quando avevano patologie assolutamente incurabili. La nostra scelta, pur difficile, fu quella di cercare di mettere tutti gli animali raccolti nelle migliori condizioni per trovare loro una nuova casa e un nuovo padrone. Per far ciò senza mettere la testa sotto la sabbia fummo costretti a sopprimere in modo realmente eutanasico quegli animali per i quali la vita significava ormai solo sofferenza.

E oggi?
Beh, dopo quasi trent’anni possiamo guardare con orgoglio a quello che abbiamo realizzato. Oggi i nostri soci sono circa 1000 e 70 i volontari, più quattro addetti fissi e retribuiti. Nel canile circolano annualmente circa 750 cani e 800 gatti, ma quasi il 90% di essi trova un nuovo padrone nell’arco dei dodici mesi. E ogni animale accolto in canile viene attentamente visitato, curato, vaccinato, sterilizzato e tatuato, come impone la legge prima di essere dato in affido. E il canile, benché ancora fortemente insufficiente rispetto alle esigenze, si è oggi ingrandito e modernizzato. Pensi che recentemente abbiamo anche aperto il nostro sito WEB e attivato un servizio dove chiunque da casa può vedere per eventuale affido le schede e le foto degli animali che ospitiamo.

E i rapporti col mondo pubblico?
Direi buoni. Con l’ASSL collaboriamo da tempo in sintonia. Nel mondo politico cittadino abbiamo spesso trovato persone con un forte spirito animalista, che ci hanno davvero sostenuto. Dagli ex sindaci Elio Malvezzi e Rosella Panzeri, all’ex vicesindaco Vico Gilberti. L’E.N.P.A. è un’organizzazione assolutamente apartitica: i politici li giudichiamo da quanto fanno per noi, e dai fatti più che dalle promesse.

Ma la vostra attività non si limita alla gestione del canile.
No, certo il canile è il fulcro, ma attorno ad esso facciamo molte altre cose. Prima fra tutte la sede operativa che di recente siamo riusciti a far aprire al pubblico tutti i pomeriggi feriali: E poi ci sono le nostre manifestazioni, la Befana del Cane, la marcia nel Parco per i diritti degli animali (“Quattro passi a quattro zampe”) ma soprattutto la “Benedizione degli animali”, che si ripete ormai da 27 anni in città. All’inizio era poca cosa, un’occasione per pochi intimi sul piazzale del santuario delle Grazie Vecchie. Poi l’abbiamo fatta crescere, ci siamo “inventati” il concorso “Cane e Gatto Fantasia” e così da qualche anno ogni fine settembre ci ritroviamo più di un migliaio di persone che partecipano con gioia a questa autentica festa degli animali.

E a Monza c’è anche il Parco.
Ovviamente, per sua natura e vastità, il Parco ci offre moltissime occasioni di intervento.

Si ricorda quando alla fine degli anni ’60 al posto dell’attuale parcheggio c’era il poligono di tiro al piccione?
No, francamente no, all’epoca non mi occupavo ancora di questi temi. Però mi ricordo bene quando intervenimmo per una gara di cani da punta con quaglie vive nel Parco in occasione della Festa di San Giovanni, facendola annullare. O le nostre battaglie contro le gare di pesca nel laghetto della Valle dei Sospiri. O quando ci prendemmo carico di collocare presso terzi i daini e i mufloni ospitati in un vergognoso recinto nei Giardini e chiuso in seguito a numerose proteste. O, ancora, quando in occasione di due svuotamenti del laghetto reale per opere di manutenzione (1984 e 2002) ci siamo presi in carico il salvataggio degli animali, la loro custodia durante i lavori e la loro successiva ricollocazione. E poi ancora il programma di posizionamento di mangiatoie per uccelli nel Parco per meglio tutelare la fauna avicola nei periodi invernali. Insomma, di cose anche nel Parco ne abbiamo fatte tante.

Ma, scusi, Lei quanti animali ha in casa Sua?
Io? Beh, mi faccia contare: sette cani, un gatto, alcune tartarughe, quindici canarini, tredici conigli domestici, quattro galline e due papere. Mi sembra inutile precisare che tutti questi erano animali abbandonati e che conigli, galline e papere sono destinati a morire di vecchiaia…