Se ne è andato Luis Sepùlveda, lo scrittore che amava gli animali.

Attivista politico, ambientalista e animalista di origini cilene, Luis Sepùlveda è morto il 16 aprile a seguito di una lunga degenza per Covid-19.

Era un vero amante degli animali, ha insegnato il rispetto per gli altri e per l’ambiente che ci circonda a intere generazioni. Tra le numerose opere che lo resero celebre in tutto il mondo, la favola-parabola Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare.

«Sono in tanti oggi a provare un senso di dolore e di rabbia, afferma Carla Rocchi, presidente nazionale ENPA – ma soprattutto riconoscenza. Dolore e rabbia perché rimane la sensazione che questa incredibile tragedia, che sta colpendo il mondo intero e che ha portato via anche Luis Sepulveda, poteva essere evitata. Si potevano cogliere i segnali, la necessità di ristabilire il rispetto e la tutela per l’ambiente che ci circonda.»

Verso Sepùlveda proviamo profonda riconoscenza per l’incredibile patrimonio che ci ha lasciato. Era un vero animalista: per lui gli animali erano membri della famiglia. Aveva gatti, cani, cavalli, pecore, lama, ricci e persino una rana. E a chi gli chiedeva come facesse, rispondeva «la vita con gli animali non è così difficile come qualcuno crede, basta rispettare i loro spazi e insegnare loro a rispettare i nostri». Rispetto è la parola chiave dalla quale ripartire, ora più di sempre.

Con le sue favole e i suoi personaggi, principalmente animali, Sepùlveda ha cresciuto piccoli e grandi sognatori che sono in grado di intravedere un altro mondo dove regnano principi umani di solidarietà, rispetto e fratellanza. Dove la lentezza, intesa come capacità di soffermarsi a capire e riflettere, è ancora un valore. Dove i protagonisti reagiscono, osano e alla fine trovano la strada per spiccare il volo.

Quanti messaggi in quelle parole…

Qui sotto riproponiamo uno stralcio della sua Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare.

 “Miagolare l’idioma degli umani è tabù. Così recitava la legge dei gatti, e non perché loro non avessero interesse a comunicare. Il grosso rischio era nella risposta che avrebbero dato gli umani. Cosa avrebbero fatto con un gatto parlante? Sicuramente lo avrebbero chiuso in una gabbia per sottoporlo a ogni genere di stupidi esami, perché in genere gli umani sono incapaci di accettare che un essere diverso da loro li capisca e cerchi di farsi capire. I gatti sapevano, per esempio, della triste sorte dei delfini, che si erano comportati in modo intelligente con gli umani e così erano stati condannati a fare i pagliacci negli spettacoli acquatici. E sapevano anche delle umiliazioni a cui gli umani sottopongono qualsiasi animale che si mostri intelligente e ricettivo con loro. Per esempio i leoni, i grandi felini, obbligati a vivere dietro le sbarre e a vedersi infilare tra le fauci la testa di un cretino; o i pappagalli, chiusi in gabbia a ripetere sciocchezze. Perciò miagolare nel linguaggio degli umani era un grandissimo rischio per i gatti.”

La vita che si rinnova

E chissà, forse è un segno del destino che proprio il giorno della sua morte siano arrivati al canile di Monza due cuccioli, che in suo onore sono stati chiamati Sepul e Veda (a destra).

I piccoli, due maschi meticci tipo cane da pastore, sono ancora molto giovani e saranno adottabili una volta terminati i controlli sanitari.

Pubblicato il 22 aprile 2020